Jader e Francesca avevano da poco iniziato il loro turno di servizio come componenti della Volante Centro quando la Sala Operativa della Questura segnalava la presenza di un ragazzo seduto su uno dei portanti di ponte Catena con le gambe penzoloni in direzione del fiume: con lo sguardo assorto ed una bottiglia di birra di mano, il giovane parlava da solo e diceva di volerla fare finita.
Quando sono arrivati all’altezza di lungadige Cangrande, i poliziotti si sono prima fermati un attimo ad osservarlo da lontano, per poi avvicinarglisi lentamente a bordo della volante: una volta affiancatolo, Jader – il capopattuglia – ha abbassato il finestrino e gli ha chiesto come stesse, cercando in qualche modo di aiutarlo a raccontargli ciò che stava accadendo, ma il ragazzo diceva di non stare affatto bene e si rifiutava di ascoltare il suo invito a riprendere una posizione stabile e più sicura.
A quel punto il poliziotto ha scelto di seguire la strada più cauta: è sceso lentamente dall’auto e ha provato ad entrare in sintonia con lui, facendogli delle domande sulla sua ex fidanzata e lasciandolo parlare e sfogarsi. Così facendo, a poco a poco, ha conquistato la sua fiducia a tal punto che il giovane, forse rassicurato dal suo sguardo apprensivo e familiare, gli ha raccontato di conoscere un poliziotto, Paolo: un nome a cui si sono aggrappate tutte le speranze di Jader di metterlo in salvo. Fingendo di conoscere il presunto collega, gli ha chiesto se avesse piacere che li raggiungesse e, di fronte al suo sorriso accondiscendente e rassicurato, mentre l’altra agente continuava a distrarlo, è entrato in auto e ha chiesto l’ausilio di un’altra volante dando ai colleghi precise direttive su dove lasciare l’auto, come avvicinarsi e quando afferrarlo.
Da quel momento l’attesa di “Paolo” è durata poco. Appena qualche minuto dopo, sono arrivati gli altri due poliziotti: hanno parcheggiato l’auto prima del ponte e, con estrema cautela, si sono accostati al punto in cui l’uomo era seduto. Al cenno del collega, poi, in due – vista la sua robusta corporatura – lo hanno afferrato e messo al sicuro. E quando il giovane tratto in salvo ha alzato lo sguardo, si è accorto che a sorridergli non c’era “Paolo” ma quattro nuovi amici poliziotti: al sicuro tra le loro braccia, sentendosi dire “ti vogliamo bene”, li ha ringraziati in un pianto di commozione.
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