Gli agenti della Squadra Mobile hanno dato esecuzione ad otto ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di cittadini italiani ed albanesi dediti allo spaccio di droga nella città di Varese
All'alba di ieri, mercoledì 18 novembre, la Sezione Antidroga della Squadra Mobile di Varese, a seguito di un'indagine iniziata nella primavera del 2013 e coordinata dal sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Varese, dottoressa Sara Arduini, ha dato esecuzione ad otto ordinanze di custodia cautelare in carcere, a carico di vari soggetti dediti al traffico di sostanze stupefacenti, cocaina in particolare, spacciata nella città di Varese.
Sono state indagate, altresì, altre cinque persone ritenute a vario titolo responsabili del reato di spaccio di stupefacenti, ed eseguite circa trenta perquisizioni a carico di soggetti che, nel corso delle indagini, sono stati individuati quali acquirenti di cocaina dagli arrestati.
In particolare, gli arrestati sono cittadini italiani e cittadini albanesi residenti in Varese: le indagini hanno permesso di delineare un quadro particolare nel quale si muovevano gli arrestati e gli indagati.
Uno dei personaggi di maggior rilievo, è una donna, F.P., classe 1964, residente nel quartiere San Fermo, che darà l'avvio all'intera attività, iniziata nel 2013 a seguito di un controllo ad opera della pattuglia antidroga che monitora costantemente le zone ritenute più sensibili per lo spaccio. In quella specifica circostanza, a bordo dell'autovettura sospetta, viene controllato un acquirente che fornisce alcuni dettagli utili per l'inizio dell'indagine.
Con il coordinamento del Pubblico Ministero, si ricollega l'attività avviata ad un precedente episodio, un caso di estorsione che poi si scoprirà essere legato a questioni debitorie per droga: ciò darà modo di ampliare maggiormente il quadro e di scoprire le modalità operative e i contatti tra i vari spacciatori.
Ciò che caratterizza il rapporto tra gli arrestati italiani, è la parentela che li unisce: si tratta di madre, figli e compagno della prima. Un quadro non semplice da disarticolare, per le modalità poste in essere per i loro traffici. Innanzitutto, la madre ed il figlio maggiore, appena scarcerato, hanno canali di approvvigionamento della cocaina diversi; ciò non a caso. Quando la merce manca ad uno, lo stesso si potrà rivolgere all'altro.
E' la madre che fornisce le direttive ai figli e lo fa comunicando con linguaggio non tradizionalmente criptico, ma al contrario, fornendo pochissimi particolari. Ciò ha reso ancor più complessa l'indagine, che si è concentrata sui pedinamenti e sull'osservazione dei personaggi. Non hanno bisogno, sentendosi al telefono, di fornire grossi particolari su luoghi e modalità dello spaccio: tutti sono a conoscenza di tutto.
La donna presta molta attenzione nei suoi spostamenti: non si muove mai con grossi quantitativi in auto, per evitare l'arresto; si appoggia a casa dell'amica per confezionare le dosi e utilizza i bilancini di precisione del compagno. Tutto nell'ambito di un quadro sociale degradato che vede anche la presenza di figli minori, spesso portati a bordo dell'autovettura per non essere sottoposte a controlli.
Gli arrestati movimentavano per parecchie volte al giorno piccoli quantitativi di droga.
La spregiudicatezza e la disponibilità di droga, poi, sono evidenti in un'occasione specifica: la donna, sprovvista di merce, chiede alle tre del mattino ad uno degli arrestati, un quantitativo di droga, che lui le fornisce immediatamente e senza preavviso ed all'interno del bar in cui lavora.
Non tutti gli arrestati hanno un'attività di lavoro ed hanno come unico sostegno economico la droga e sono tutti pregiudicati.
Si rivolgono agli albanesi perché certi di trovare la droga; uno di questi, irregolare sul territorio nazionale, è stato espulso dall'Italia e poi rientrato, violando le norme sugli stranieri: tant'è vero che il medesimo è stato tratto in arresto anche per il reingresso non autorizzato in Italia.
L'indagine ha permesso di dare un'interruzione decisiva all'attività di spaccio nel quartiere San Fermo; non solo, ma ha consentito di evitare l'ulteriore propagarsi dello spaccio, poiché il raggio di clienti che si trasformano poi in ulteriori spacciatori per reperire il denaro utile all'acquisto di droga, si stava ampliando a macchia d'olio.
Tutto questo ha consentito di chiedere ed ottenere a firma del G.I.P. Alessandro Chionna, le ordinanze di custodia cautelare in carcere.