L’attività investigativa condotta dalla Squadra Mobile, coordinata dalla Procura della Repubblica di Imperia, che ha permesso di interrompere i maltrattamenti ai danni di un anziano ottantenne da parte di due donne, la più anziana delle quali finita in carcere, dove è tuttora detenuta, ha consentito anche di ricostruire il “movente” della “presa in carico” della vittima e portare alla luce ulteriori reati sempre commessi.
La “giovane”, che si presentava come nipote dell’anziano senza esserlo realmente, lo aveva convinto a trasferirsi nell’appartamento attiguo a quello assegnato alla madre ed in base ad un progetto fraudolento aveva preso la residenza presso l’abitazione del maltrattato in modo tale da poter vantare, dopo qualche tempo, un titolo preferenziale per l’assegnazione dell’immobile in suo favore alla sua morte; “assisterlo” ero solo il pretesto per giustificare l’illecita operazione.
Il motivo di tali “manovre” è apparso da subito chiaro agli investigatori: la Legge Regionale della Liguria in materia di assegnazione e gestione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica prevede che in caso di decesso dell’assegnatario subentrino nell’assegnazione – purché la convivenza risulti dimostrata anagraficamente al verificarsi dell’evento – in mancanza di parenti più prossimi, anche i nipoti discendenti in linea retta, purché sussistano i requisiti della residenza anagrafica nell’alloggio in modo continuativo nei quarantotto mesi che precedono la data del decesso e la comprovata finalità di assistenza socio sanitaria.
Quindi, l’idea era quella di un’assistenza “a tempo determinato”, necessario a potersi “impossessare” del suo alloggio di edilizia popolare. Nel frattempo, intanto, avrebbe anche potuto gestire la pensione e le altre “entrate” economiche (la più giovane delle indagate si occupava, infatti, di ogni pratica relativa all’anziano, ivi compresa quella volta a far ottenere l’indennità per l’accompagnamento), riducendo al minimo le “uscite”.
Per tranquillizzare l’unico figlio rimasto in contatto telefonico col padre, gli veniva riferito che l’anziano stava bene ma era diventato sordo e quindi non poteva sentirlo, pertanto avrebbe dovuto “accontentarsi” di un rapido saluto e di qualche filmato pre-registrato (magari in quei pochi momenti in cui veniva lavato e messo a sedere) ed inoltrato via Whatsapp.
L’indagine ha fatto emergere anche ulteriori illeciti. L’anziano, infatti, oltre che dalle badanti “aguzzine”, è risultato aver ricevuto assistenza anche da badanti “fantasmi”. L’indagata ha assunto fittiziamente, nel periodo estivo, una badante straniera che grazie al (falso) contratto di lavoro ha potuto chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno scaduto.
Addirittura, per far si che in caso di controlli la straniera potesse fornire una precisa ricostruzione dei luoghi e “mascherare” la fittizietà del contratto di lavoro, l’indagata l’aveva accompagnata a casa dell’anziano, istruendola anche sulle ulteriori circostanze da riferire nel caso in cui l’artificio fosse venuto alla luce. Peccato, però, che della vittima non si sia mai realmente occupata e che addirittura abbia dovuto pagarsi da sola i contributi previdenziali.
Sono in corso, sul punto, ulteriori indagini, finalizzate a verificare l’eventuale falsità anche di altri contratti di lavoro stipulati (apparentemente) dall’anziana vittima con altri “badanti immaginari” che risultano assunti negli anni precedenti, oltre che a disvelare il “corrispettivo” a beneficio dell’indagata per la disponibilità a stipulare i falsi contratti di lavoro.