Questura di Forlì Cesena

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Smantellata dalla Polizia di Stato la "Setta macrobiotica"

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La Polizia di Stato ha concluso una complessa attività d’indagine avviata nel 2013 quando presso la Squadra Mobile di Forlì si presentò una donna del ‘73, intenzionata a riportare la propria esperienza all’interno di una associazione, asserendo che, soltanto dopo mesi dalla fuoriuscita dall’associazione in cui aveva ripreso gradualmente i contatti con il mondo esterno, aveva riacquistato le forze fisiche e la propria autonomia critica, si trattava di una vera e propria setta, principalmente a scopo economico. 

 

La donna spiegava di aver maturato la decisione di raccontare i fatti di cui era stata vittima soprattutto mossa dal proposito di interrompere un comportamento consolidato da anni che ha recato e continua a recare grave danno alla salute di tante persone, rendendole schiave. Spiegava che la sua esperienza aveva avuto inizio in alcuni punti Macrobiotici della Romagna e delle Marche dove aveva subito un “indottrinamento” in un momento di forte fragilità emotiva dovuta alla sua malattia.  Aveva creduto ai racconti sui benefici “miracolosi” della dieta elaborata dal vertice della setta, in grado di guarire malattie incurabili per la medicina ufficiale ed all’importanza di diffondere questo stile di vita per “salvare l’umanità”.

 

Dal racconto dettagliato della donna è emerso come il fondatore di questa associazione M. P. del ‘44 attraverso il rigido controllo dell’alimentazione e le negazione del mondo esterno, soprattutto medico, manipolava gli “adepti” arrivando gradualmente a gestirne l’intera loro vita allo scopo di ricavarne un arricchimento personale, ottenuto attraverso la creazione di società a lui riconducibili operanti nel settore dell’alimentazione ed allo sfruttamento del lavoro degli adepti impiegati nei numerosi Centri riferibili all’associazione sparsi sul territorio Nazionale che, di fatto, organizzavano un circuito di ristorazione a costo zero.

 

            L’attività che ne è seguita in cui sono state individuate altre “vittime” uscite e non, disponibili a raccontare le dinamiche dell’Associazione, nonché le indagini patrimoniali, hanno portato l’A.G. Forlivese ad ipotizzare i reati di associazione per delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù, maltrattamenti, lesioni aggravate ed evasione fiscale. L’indagine veniva successivamente trasferita per competenza territoriale alla Procura distrettuale di Ancona e seguita dalla Squadra Mobile Distrettuale del capoluogo marchigiano.

 

   Nel contesto dorico, gli investigatori della Polizia di Stato proseguivano la ricerca di coloro che, una volta usciti ed ancora turbati da tale esperienza, erano disposti a rappresentare e denunciare quanto occorso, sostenuti anche dal supporto psicologico e legale dell’dell’Osservatorio Nazionale Antiviolenza Psicologica di Firenze, i quali hanno suffragato le ipotesi delittuose compiute in contesto associativo e già ravvisate dagli investigatori forlivesi.

 

Da tali excursus, altrettanto riconoscibili sono stati gli indizi tipici dei reati settari, contrassegnati dall’abuso del gruppo sulla singola persona ed identificabili in tutte quelle componenti negative che la Squadra Anti Sette in forza al Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato ha tratteggiato e definito sintomatiche di possibili profili di abuso marcando per caratteristiche e struttura, la piena equiparazione dell’”Associazione una vera e propria “psico-setta a scopo economico”.

 

            E’ emerso dai racconti e dai riscontri effettuati come M.P. unitamente ad alcuni suoi collaboratori, anch’essi indagati tali V.L.’67, B G.’66 e W.K.X.’74, e che rivestono ruoli apicali nella piramide organizzativa e decisionale del sodalizio, fosse riuscito a carpire la fiducia di numerose persone che versavano in condizioni psicologiche fragili a causa di problemi di salute personali o famigliari, convincendole che la dieta macrobiotica e i dettami della sua filosofia potessero garantire una guarigione e una soluzione concreta ai loro problemi personali e di salute, tanto da indurre le stesse ad abbandonare le cure della medicina ”ufficiale”  con argomenti  tipo “ i medici tradizionali sono tutti assassini…..”

 

            L’accettazione rigida delle diete create dal maestro, le c.d. diete MA.PI, in numero di 5 (gradualmente sempre più ristrette) unitamente  alle  lunghe “conferenze” da lui tenute durante le quali lo stesso era solito argomentare per ore della forza salvifica della sua dottrina alimentare, riservate ai soli adepti, erano volte a plasmare un asservimento totale ad un codice comportamentale che induceva le vittime ad uno stato di schiavitù, per cui  tutta la loro vita era gestita dal P. che si avvaleva dei suoi collaboratori prescelti facenti parte della “segreteria” che attraverso i cd “capizona” e “capicentri” dislocati in varie parti d’Italia, all’interno dei “Punti Macrobiotici” riusciva e riesce a manovrare a suo piacimento il mondo macrobiotico.

 

L’apertura di ogni singolo Punto doveva essere autorizzata da M.P., il quale per qualsiasi motivo ed in ogni momento, poteva deciderne l’apertura, la chiusura, il trasferimento da un giorno all’altro del capozona o capocentro in qualsiasi altro Punto. 

 

I pensiero degli “adepti” doveva essere indirizzato ad un unico fine già tracciato dal guru:

 

  “M.P. ha già pensato a tutto per noi, bisogna fare bene tutto quello che lui ci dice di fare, in modo da poter guarire sia le malattie fisiche che quelle dell’anima in modo da ripulire il nostro Karma, qualsiasi messa in discussione, ragionamento, domanda sul perché fare o non fare, mangiare o non mangiare, era soltanto una perdita di tempo perché M.P. aveva già sperimentato su di se, sacrificandosi con infinito amore per noi e l’umanità”..  ed ancora: “i farmaci non curano, tolgono semplicemente i sintomi, la medicina uccide, i medici sono degli assassini.”  

 

Una volta sottomessi, M.P. pretendeva dagli “adepti” donazioni in denaro, a suo dire, da destinare per la salvezza dell’umanità, quali, ad esempio, la realizzazione di una grande clinica dove praticare cure alternative alla medicina ufficiale.

 

L’esame dei flussi contabili di circa cinquanta posizioni bancarie e postali, ha consentito infatti di individuare i movimenti di denaro entrati fraudolentemente nelle casse di M.P. e dell’Associazione, attraverso un collaudato sistema di “offerte”, periodicamente imposte per asserite finalità di destinazione sociale.

 

In caso di mancata adesione alle richieste spesso veniva avviato un processo sommario al cospetto di tutta la comunità dei macrobiotici allo scopo di deridere e colpevolizzare il renitente, il quale, veniva invitato a fare pubblica ammenda per tali colpe.

 

Gli adepti venivano convinti ad abbandonare il loro lavoro ed in genere ad abiurare la precedente vita e a “lavorare” per l’associazione quale ringraziamento per il messaggio salvifico ricevuto; di fatto si trattava di sfruttamento, costretti a lavorare per molte ore e, nella migliore delle ipotesi, sottopagate.

 

Nei casi in cui non riuscivano a far fronte alle “donazioni” per il fine comune o a mantenere aperto l’esercizio (M.P. imponeva loro il prezzo di vendita di ogni singola porzione che non consentiva margini di guadagno) ne poteva decidere l’espulsione dall’Associazione qualificando come “indesiderati” costringendoli a subire dei veri e propri processi interni in cui pretendeva che scrivessero una dichiarazione in cui si assumevano tutta la responsabilità del fallimento. 

 

Alcune delle persone sentite hanno raccontato che una volta espulse dal mondo Macrobiotico, non avendo più lavoro, affetti familiari dai quali si erano staccati per volontà di M.P., si erano trovati a vivere situazioni molto difficili, di disperazione, isolamento, costretti a vendere la loro abitazione o a rivolgersi, per poter mangiare, all’aiuto della Caritas, terrorizzati dal fatto che potessero avverarsi i mali prospettati da M.P. in caso di abbandono volontario dal gruppo.

 

***

 

L’attività svolta sull’aspetto finanziario della vicenda è stata, tra l’altro, quella di accertare che di fatto l’Associazione, attraverso l’uso strumentale delle determinazioni della Segreteria Nazionale, vincolava la rete di imprenditori operanti in campo nazionale sotto il marchio dell’associazione” a pagare:

  • la gestione e lo sfruttamento del marchio a una delle società del gruppo;
  • l’approvvigionamento dei beni, quali alimenti e arredi, esclusivamente attraverso la società che curava la vendita all’ingrosso dei prodotti o da altre imprese preventivamente certificate da un’altra società a ciò demandata facente parte della struttura societaria;
  • la formazione e l’aggiornamento professionale, partecipando più volte all’anno (per gli imprenditori e gli operatori) ai corsi obbligatori di formazione organizzati da un’altra società che aveva il compito appunto di curare ed organizzare gli eventi/incontri;
  • i testi di studio per i corsi e la diffusione del pensiero del “Maestro” così come veniva e si faceva chiamare il principale indagato, pubblicati dalla casa editrice di sua proprietà,

dando vita, in tal modo, ad un’impresa comparabile, di fatto, ad un’attività di franchising e, conseguentemente, da ritenersi un’impresa commerciale artatamente dissimulata come associazione di promozione sociale creata per la gestione del marchio associativo e come tale obbligata a presentare le dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto. L’organizzazione dell’intera rete commerciale così strutturata e diffusa sul territorio ha limitato, se non addirittura azzerato, il rischio d’impresa che invece è ricaduto sui singoli “Centri UPM” che erano tenuti a rispettare rigorosamente le direttive e gli standard imposti dalla Segreteria Nazionale dell’Associazione secondo un criterio di uniformità in maniera da conferire ai vari punti “UPM” una immagine esterna unitaria secondo le scelte operate da chi sta al vertice della catena distributiva che impone anche una certa mentalità imprenditoriale all’attività. Caratteristica, questa, tipica del contratto di affiliazione alla quale va ad aggiungersi la regolamentazione delle politiche commerciali che devono essere praticate dall’affiliato.

 

L’associazione in parola, infatti, come ampiamente argomentato e da quello che emerge dalla documentazione di cui al fascicolo in riferimento, ha posto in essere una serie di attività commerciali che hanno fatto venir meno il requisito di ente non commerciale.

 

Sostanzialmente, nella realizzazione dei propri scopi la predetta associazione ha svolto prevalentemente attività di impresa così come individuata dalla normativa vigente e pertanto è soggetta al trattamento impositivo tributario. Inoltre, l’Associazione, non risulta aver presentato nel corso degli anni (2012-2016) la dovuta dichiarazione dei redditi. Tale violazione è stata posta in essere da B.G., quale legale rappresentante nonché prestanome dell’Associazione sopra indicata e, in concorso ex art. 110 C.P., con M.P. e sua moglie L.V., quali soci ed amministratori di fatto, per le motivazioni meglio espresse in premessa, ed in particolare per l’anno 2013 è stata evasa una  I.Re.S.( Imposta su Reddito di Impresa), per un importo di €. 90.000 ca.

 

A tale ultima ipotesi delittuosa deve aggiungersi che per l’annualità 2015, causa analoga condotta si palesa che, dall’esame del bilancio/rendiconto dell’Associazione depositato per tale periodo d’imposta è stata evasa la somma di €. 78.991,15, a fronte di una dichiarazione di gestione di €. 287.240,58 come rendiconto associazione culturale (tassata con aliquota inferiore a quella prevista per un’impresa).

La predetta consultazione, nei riguardi dei soggetti nonché, dell’ASSOCIAZIONE e delle società satelliti ha consentito di individuare numerosissimi rapporti di conto corrente bancario e/o postale dei quali, veniva acquisita ed analizzata l’intera documentazione bancaria/postale. In particolare, venivano individuati 35 rapporti movimentati e con saldo attivo (versamento contante, disposizioni di pagamento, versamento/traenza di assegni bancari/postali, disposizioni di bonifico, accrediti vari) dei quali, a seguito di un più approfondito esame, solo 28 sono stati ritenuti di interesse investigativo. L’esame ha confermato come le ingenti somme, di cui moltissime in contante, generate dall’intera struttura pseudo associativa difatti venissero, alla fine, convogliate sui conti personali e dei familiari dei principali indagati P.M. e V. L.. 


15/03/2018

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