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Gela, la Polizia sventa guerra di mafia tra clan. Arrestato ex collaboratore

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Gli investigatori della Squadra Mobile e del Commissariato di P.S. decapitano i vertici del clan mafioso Rinzivillo

Dopo l'arresto del capo mandamento Barberi Alessandro, ieri sono stati arrestati l'ex collaboratore di giustizia Di Stefano Roberto, già capo famiglia, e il nuovo reggente del clan Pardo Davide.

L'operazione portata a termine dalla Polizia di Stato ha sventato una guerra di mafia per il controllo del territorio in Gela che vedeva protagonisti il reggente uscente di cosa nostra - clan Rinzivillo - e il nuovo reggente del clan.

Il primo Di Stefano Roberto aveva deciso di collaborare con la giustizia nel luglio del 2013; il secondo è il nipote Pardo Davide che, dopo la decisione dello zio di recidere i legami con la criminalità, assumeva il comando della famiglia mafiosa.

Le complesse indagini condotte dalla Squadra Mobile di Caltanissetta e coordinate dalla D.D.A. di Caltanissetta hanno inchiodato gli odierni catturati alle loro gravi responsabilità.

Ieri, il G.I.P. presso il Tribunale di Caltanissetta, emetteva un'ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di: Cassarà Nicolò Piero, nato a Gela di anni 47, Di Stefano Roberto, nato a Gela di anni 46 e Pardo Davide, nato a Gela di anni 33.

Cassarà Nicola Piero dovrà rispondere, in concorso con Di Stefano Roberto, di due estorsioni, aggravate dall'essere state commesse con la forza d'intimidazione derivante dall'associazione mafiosa, ai danni di due imprenditori gelesi.

Di Stefano Roberto e Pardo Davide dovranno rispondere del reato di associazione di tipo mafioso per avere fatto parte della famiglia di Gela, clan Rinzivillo, articolazione dell'associazione di tipo mafioso denominata "Cosa Nostra".

Infine, solo il Di Stefano dovrà rispondere dei reati di porto, detenzione abusiva e ricettazione di altre armi e relativo munizionamento di un fucile, una pistola cal. 7,65 e tre pistole cal. 38, armi prive di numero di matricola.

Di Stefano Roberto è un personaggio di primo piano della famiglia di Gela di Cosa nostra, "figlioccio" del boss Ginetto Rinzivillo, che, dopo aver scalato i vari gradi della gerarchia mafiosa gelese e avere sofferto un lungo periodo di detenzione, coronò la sua carriera assumendo, nel corso del 2012, la qualità di reggente del suddetto sodalizio.

La maturata consapevolezza di essere nuovamente al centro dell'attenzione delle Forze di Polizia e la concreta prospettiva di dover subire un ulteriore estenuante periodo detentivo induceva tuttavia il Di Stefano a prendere in considerazione l'idea di "gettare la spugna" e di iniziare un rapporto di collaborazione con la giustizia, che effettivamente avviava nel corso del giugno 2013, quando, presentatosi presso gli uffici della Squadra Mobile di Caltanissetta, manifestava la sua volontà di voler iniziare un rapporto di collaborazione.

Ben presto i virtuosi propositi, enfaticamente declamati all'atto iniziale della collaborazione, iniziarono a dissolversi in ragione della conclamata incapacità manifestata dal Di Stefano nel recidere i legami con l'ambiente criminale di provenienza e, in data 12 maggio u.s., il medesimo abbandonava la località protetta presso la quale dimorava.

Di fatto, però, Di Stefano, non aveva mai smesso di delinquere e il Cassarà Nicolò Piero lo collaborava quale longa manus sul territorio perché lui era distante, in località protetta, ma tale aberrante circostanza non sfuggiva agli occhi attenti degli investigatori e del pool di magistrati della locale Direzione Distrettuale Antimafia.

Nell'ambito di separate indagini svolte dalla Polizia di Stato, era infatti emerso come il Di Stefano avesse tradito gli impegni assunti con lo Stato ben prima di abbandonare il domicilio protetto e di revocare platealmente l'intento di collaborare con la giustizia, adducendo surrettiziamente motivazioni pretestuose.

Di Stefano e Cassarà consumavano estorsioni ai danni di imprenditori gelesi che avevano "conti da saldare" con la giustizia, facendo loro intendere di poter fungere da ago della bilancia per risolvere, o definitivamente compromettere, la loro situazione processuale.
28/06/2014

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