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La Polizia in Gela confisca circa un milione di euro di beni mafiosi

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La Squadra Mobile ha eseguito il decreto di confisca contro il boss Alferi Giuseppe di Cosa Nostra

Stamane la Polizia di Stato ha eseguito un provvedimento di confisca, che ha colpito beni della consorteria mafiosa di "cosa nostra" denominata "gruppo Alferi" di Gela.

I poliziotti della Squadra Mobile, in esecuzione al decreto emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Caltanissetta, hanno proceduto alla confisca dei beni che erano già stati colpiti da provvedimento di sequestro preventivo nel novembre del 2013.

Si tratta di beni mobili e immobili siti in Gela, riconducibili direttamente e indirettamente a Alferi Giuseppe, boss gelese di anni 51, in atto detenuto presso la Casa circondariale di Viterbo, al regime detentivo ex art. 41 bis dell'O.P.

I beni immobili, tutti in Gela, consistono in circa 4 ettari di terreni, un fabbricato rurale e un edificio urbano; quelli mobili, invece, consistono in due autovetture e due autocarri.

Le indagini patrimoniali condotte dagli investigatori della Squadra Mobile avevano dimostrato una evidente sproporzione tra il reddito dichiarato ed il valore dei beni direttamente e indirettamente riconducibili all'Alferi, il cui valore ammonta a circa un milione di euro.

Alferi Giuseppe, già condannato nel 2007 alla pena di anni due di reclusione, allorché patteggiò, per associazione di tipo mafioso, è stato anche destinatario dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere, nel gennaio del 2013, unitamente ad altre ventisette persone, sempre per associazione di tipo mafioso, con l'aggravante di essere stato il promotore, il costituente e di avere diretto la medesima associazione di tipo mafioso denominata appunto ''Gruppo Alferi''.

Il sodalizio mafioso, dall'anno 2005, si avvaleva della notevole caratura criminale di Alferi Giuseppe che lo promuoveva e lo costituiva fin dai primi anni novanta, col generico progetto di commettere una serie indiscriminata e indeterminata di delitti contro il patrimonio e i sodali realizzandoli in gruppo e con cadenza quasi quotidiana, così facendo assumere all'associazione le connotazioni di tipo mafioso, anche grazie alla notevole capacità criminale del suo leader di coinvolgere nell'organizzazione molti affiliati, e di contrastare in tal modo militarmente le altre consorterie mafiose storicamente presenti a Gela, cosa nostra e stidda.

Il sodalizio mafioso facente capo ad Alferi Giuseppe era autonomo ma contiguo a cosa nostra gelese e dedito alla commissioni di innumerevoli estorsioni, alla gestione di un vasto giro di usura, alla ricettazione, all'imposizione del prezzo della frutta (in particolare delle angurie nel periodo estivo) con illecita concorrenza, violenza e minaccia, all'imposizione della raccolta di materiali ferrosi di vario tipo ai danni di commercianti ed artigiani con attività insistenti nella città di Gela, all'occupazione abusiva (ed alla successiva vendita) di case popolari dello IACP (Istituto autonomo case popolari).

L'organizzazione criminale mafiosa oggetto di indagine si contraddistingueva per la ferocia e la violenza dei suoi metodi di azione, realizzando attentati, minacce ed intimidazioni; inoltre la consorteria criminale mafiosa riconducibile ad Alferi Giuseppe metteva in atto sul territorio gelese un sistema "selvaggio" di depredazione delle risorse del territorio in cui operava, essendo organizzata con delle vere e proprie "squadre" di sodali che realizzavano innumerevoli furti in abitazione, furti in poderi di campagna, alla ricerca di ferro, rame, alluminio, altro materiale; furti di autovetture, furgoni, mezzi d'opera e contestuale restituzione degli stessi con il c.d. metodo del cavallo di ritorno (chiedendo cioè un somma estorsiva per la restituzione del maltolto) estorsioni, raccolta del ferro presso officine con un sistema impositivo mafioso, imposizione del prezzo e della vendita di angurie, attività usuraria, occupazione delle case popolari e conseguente richiesta di denaro agli occupanti allocati abusivamente.

L'associazione mafiosa risultava essere inoltre armata e i suoi affiliati non disdegnavano di intimidire, con azioni eclatanti a colpi di arma da fuoco contro saracinesche e portoni di abitazioni, quelle attività commerciali o imprenditoriali che si rifiutavano di aderire alle loro richieste impositive-estorsive.
25/06/2014

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