Arrestato 22enne di Ostuni per resistenza, minacce e lesioni a P.U..
Durante un servizio di controllo del territorio i poliziotti del Commissariato di Ostuni, traevano in arresto nella flagranza dei reati di resistenza, minaccia, lesioni a Pubblico Ufficiale, istigazione alla corruzione ed interruzione di un pubblico servizio, P. G., classe 1994, ostunese che, come disposto dal PM di turno presso la Procura della Repubblica di Brindisi, dopo le formalità del caso, veniva tradotto presso la propria abitazione in regime di arresti domiciliari, a disposizione della competente A.G..
Nel corso di un normale servizio di pattugliamento del territorio di competenza, un equipaggio della Squadra Volante intimava l’Alt ad un ciclomotore, il cui conducente, privo del previsto casco protettivo, era stato notato confabulare con fare sospetto, con un noto pluripregiudicato del posto, anche per questioni connesse allo spaccio di droga.
Lo stesso che inizialmente sembrava volesse acconsentire all’ordine di fermarsi, successivamente e con un gesto repentino, accelerava e si dava a precipitosa fuga. I poliziotti, ciononostante, dopo un inseguimento, riuscivano nuovamente a bloccarlo, all’interno di un vicolo del centro storico del Comune ostunese.
Una volta arrestata la corsa, venivano richiesti i documenti personali e del ciclomotore ma, il fermato, per tutta risposta, si rifiutava categoricamente, aggiungendo che non avrebbe preso ordini da nessuno, che avrebbe fatto solo quello che gli impone la Legge e che non poteva essere fermato dalla Polizia da lui non riconosciuta come organo istituzionale, perché non era pregiudicato e non poteva subire un controllo da persone, a suo dire, che non hanno niente di meglio da fare che perdere tempo in questo genere di situazioni.
Inizialmente, il personale operante, formato adeguatamente anche per la gestione di situazioni borderline come quella che si presentava, cercava di far comprendere al fermato l’opportunità di assumere un contegno maggiormente rispettoso e collaborativo che, certamente, avrebbe fatto cessare il controllo agevolmente e senza ulteriori deleterie conseguenze. Ma, la reazione dell’individuo, non teneva minimamente in considerazione quanto raccomandatogli dagli operatori in divisa, tanto che, uno dei 2 Agenti, veniva ingiuriato con epiteti di basso rango nonché minacciato di imminenti ripercussioni, il tutto condito da un atteggiamento di sfida ed irriverenza, in perfetto stile mafioso condito da frasi del tipo “ti devo fare una faccia gonfia di schiaffi, chi cazzo ti credi di essere, sbirro di m…”.
Al fine di evitare che la negativa situazione proseguisse in strada, anche in ragione della necessità operativa di sottoporre il soggetto a perquisizione personale onde scongiurare l’ipotesi che potesse occultare sulla sua persona armi e droga, eventualità che avrebbe potuto nuocere all’incolumità generale, lo stesso, con non poche fatiche e veementi resistenze e continui atteggiamenti di istigazione, veniva condotto presso gli uffici del Commissariato.
Giunto in ufficio, veniva invitato a farsi assistere da un difensore durante la perquisizione ma, continuando nel suo atteggiamento di sfrontatezza, riferiva che non avrebbe chiamato alcun legale perché nessuno avrebbe potuto effettuare un controllo sulla sua persona, dicendo inoltre che ciò che si stava compiendo, costituiva solo ed esclusivamente un abuso, chiedendo di uscire dall’ufficio perché “pieno di puzza di m….”.
I poliziotti ostunesi, pertanto, preso atto della necessità di verificare l’eventuale presenza di oggetti illeciti indosso all’uomo, si accingevano all’esecuzione del previsto atto ispettivo nei suoi confronti ma, lo stesso, col chiaro intento di farli desistere, iniziava a minacciarli gravemente alludendo alla circostanza di essere a conoscenza dei modelli e dei numeri di targa delle autovetture degli Agenti, dei nomi dei figli e delle mogli, “invitandoli” a lasciarlo stare così avrebbero potuto vivere tranquillamente, aggiungendo, inoltre, che se avessero soprasseduto gli avrebbe permesso di effettuare un’importante operazione di polizia.
Fermi sulla obbligatorietà della prosecuzione degli accertamenti, gli operanti procedevano ai controlli sulla persona del fermato che, compresa la loro inamovibilità, cercava di colpirli in tutti i modi possibili ed immaginabili, pur di procurare delle lesioni e di evitare la commissione dell’atto ispettivo; lesioni che, di fatti, venivano causate ad un poliziotto che, dopo le cure del caso, riportava una prognosi di riposo e cure di 3 giorni, salvo complicazioni.
La deleteria situazione faceva sì che intervenisse direttamente il Dirigente del Commissariato di P.S. di Ostuni al fine di tranquillizzare l’uomo, riportandolo alla calma.
Ma, anche nei confronti del Dirigente l’Ufficio di Pubblica Sicurezza, l’individuo si poneva con fare sfrontato ed irriguardoso, ripetendo le minacce in precedenza proferite all’indirizzo dei poliziotti e invitandolo espressamente a lasciarlo stare, soggiungendo che era a conoscenza del fatto che il Dirigente avesse una famiglia e che, forse, testuali parole, era il caso di lasciarlo tranquillo se avesse voluto vivere sereno, perché se gli fosse stata rovinata la vita, lui l’avrebbe rovinata agli operatori, facendo “un casino enorme”, anche perché, continuava convinto, “non era il caso di sporcarsi personalmente le mani con i poliziotti, bastava dare 200 euro ad un albanese per il servizio…”.
Tutta la vicenda veniva portata a conoscenza del PM di turno presso la Procura della Repubblica di Brindisi che, preso atto delle reiterate, ripetute e gravi minacce rivolte nonché della continua forma di resistenza e di ostruzionismo alle operazioni di Polizia, ivi comprese le lesioni procurate ad un Pubblico Ufficiale nell’adempimento delle proprie mansioni con totale spregio nei confronti dello Stato e di ogni forma di sua rappresentanza sul territorio, disponeva che l’arrestato, dopo le formalità di rito, fosse tradotto presso la sua abitazione in regime di arresti domiciliari a disposizione dell’A.G competente.
PARISI Giampaolo, con precedenti specifici, proseguiva nella sua condotta irriguardosa anche una volta tradotto in casa ai domiciliari ove soggiungeva che, una volta nuovamente libero, l’avrebbe fatta pagare a chi lo aveva arrestato perché, a suo dire, “non stava bene di testa”.
La vicenda che avrebbe potuto determinare ben più gravi riflessi sul versante dell’incolumità generale, ove non si fosse intervenuti tempestivamente, pone l’accento sul disvalore sociale di determinati comportamenti, poco in linea con quelle sempre più auspicate forme di collaborazione tra i cittadini e la Polizia di Stato, nell’ottica di una sinergica determinazione della sicurezza generale.