Questura di Brindisi

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Quattro anni da incubo per resistere al boss SCU che voleva il suo negozio.

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Arrestatai 5 pluripregiudicati brindisini dalla Digos della Questura di Brindisi e dai Carabinieri di Brindisi

A conclusione di un'articolata attività investigativa condotta dalla Digos della Questura di Brindisi e dal Nucleo Investigativo del Reparto Operativo dei Carabinieri di Brindisi, la Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce richiedeva ed otteneva l'emissione di cinque provvedimenti di custodia cautelare in carcere a carico di pluripregiudicati brindisini per avere, in concorso tra loro ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, compiuto atti idonei e non equivoci, diretti a costringere la titolare di un'attività commerciale esercitata all'interno di locali di proprietà del Comune di Brindisi e concessi in locazione a privati a cedere senza alcun corrispettivo al capo del gruppo, noto esponente dell'associazione a delinquere di stampo mafioso denominata Sacra Corona Unita il contratto di concessione dell'immobile e la licenza relativa all'attività commerciale di vendita di fiori.

Denunciare colui che gli investigatori considerano il referente principale della Sacra corona unita per la città di Brindisi non è stato facile per una fioraia brindisina di 30 anni . E' riuscita a farlo dopo quattro anni di minacce a lei ed ai suoi genitori, esborsi di denaro, furti, una rapina ed il pestaggio del suo compagno, ed altre vessazioni come l'obbligo di pagare almeno due volte al mese la spesa alimentare al boss detenuto e persino la sua biancheria intima ed i pigiami firmati. L'ultimo attentato lo ha subito nella tarda serata del 2 novembre scorso. Un incendio doloso al negozio. L'ultimo sfregio.

Ma la Digos erano ormai in dirittura d'arrivo solo in attesa delle ordinanze di custodia cautelare del gip.

La Scu, la fioraia brindisina, l'aveva incrociata subito dopo aver avviato nel 2010 l'attività in via Ticino, nei pressi dell'ingresso posteriore del cimitero del capoluogo. Ma non si trattava del gruppo dominante a Brindisi, bensì di quello di Mesagne, che le aveva spedito immediatamente pregiudicati del posto per intimarle di chiudere perché quella era una zona sotto il controllo di un noto personaggio ricorrente nelle cronache della criminalità organizzata. Un messaggio pesante, un problema che poteva essere risolto solo da una persona dello stesso livello e della stessa organizzazione.

Ci pensò l'ex marito della fioraia, a trovare la strada giusta: non quella del ricorso alle forze dell'ordine, ma quella dell'interessamento di un noto pregiudicato brindisino

La questione infatti fu "risolta". Ma solo da un punto di vista formale perché, fattosi indietro il primo estorsore, o quanto meno coloro che si erano presentati come suoi emissari, nella vita della vittima e della sua famiglia fece ingresso il pluripregiudicato brindisino, che in breve divenne padrone della situazione grazie anche - hanno dimostrato gli investigatori - all'accondiscendenza dell'ex marito della fioraia, che si era subito schierato col più forte, partecipando a quella che ben presto divenne una insistente pressione estorsiva.

?Il pregiudicato cominciò col far sapere alla vittima che si aspettava un "regalo" per la sua mediazione con la Scu di Mesagne. La fioraia, che non disponeva di grandi risorse perché aveva investito tutto nell'avvio del negozio in via Ticino, riuscì a racimolare solo dopo qualche tempo 300 euro, che consegnò al predetto nei pressi del chiosco. Ma il soggetto, che sempre secondo le ricostruzioni investigative e le dichiarazioni dei pentiti, era autorizzato a gestire lo spaccio della cocaina e le estorsione a Brindisi, aveva ben altro in mente e tutt'altro proposito che accontentarsi di 300 euro.

Cominciò prima col chiedere un fisso di 50 euro al mese, sempre per il disturbo di aver sanato la grana con il clan di Mesagne, e giustificando la richiesta anche con il pagamento degli alimenti alla ex moglie. La fioraia fece presente che non poteva affrontare questi esborsi, e lo convinse ad accontentarsi di un'altra una tantum di 300 euro, che riuscì a mettere insieme solo durante le ricorrenze di inizio novembre 2011, e che consegnò al fratello del pregiudicato che nel frattempo era finito in galera. In quei mesi l'intera famiglia del pregiudicato (madre, sorella e convivente) continuavano a presentarsi al chiosco per prendere fiori, che non pagavano, né la donna ed il marito chiedevano il pagamento.

La più insistente era la convivente che era arrivata a condurre la fioraia in un noto negozio di intimo della città per addebitarle un acquisto di biancheria personale e pigiami firmati per il compagno detenuto. Totale del conto, 500 euro che la vittima fu costretta a pagare a rate. Ma non era finita. Per tutta la durata della detenzione la fioraia di via Ticino ha dovuto pagare due volte al mese anche la spesa di generi alimentari per lui, sempre su richiesta della convivente.

Un brutto colpo giunse in occasione di un infortunio della madre della vittima, che per accudirla lasciò l'incarico di gestire il chiosco all'ex marito. Al ritorno si accorse che il chiosco aveva solo accumulato debiti. Secondo gli investigatori, ciò fu dovuto al fatto che l'ex marito non solo versava 50-60 euro a settimana alla convivente del pregiudicato, ma probabilmente si impadroniva anche di una parte degli incassi. Il debito fu coperto personalmente dal nuovo compagno della fioraia, che a sua volta finì poi nel vortice della violenza estorsiva. La famiglia del pregiudicato infatti continuò a pretendere gratuitamente ciò che aveva ricevuto in precedenza.

La situazione è precipitata nei primi mesi del 2014, quando il predetto ottenne gli arresti domiciliari. Cominciarono le pressioni sul padre della fioraia, ma anche sul fidanzato, al quale chiedeva un incontro con la donna per chiarire la situazione, perché considerava il negozio di fiori già suo. Le minacce si fecero esplicite: il compagno della vittima ricevette sul proprio cellulare messaggi che intimavano alla coppia di lasciare il negozio pena ritorsioni. Il 25 maggio del 2014 la donna fu avvicinata dal fratello. A quel punto, visto che poteva essere in gioco l'incolumità personale oltre che il negozio, il 26 maggio la vittima sporse denuncia presso i carabinieri di Brindisi.

Quello stesso giorno infatti accaddero molte cose gravi. Il compagno della vittima fu convocato dal pregiudicato, che se lo fece portare a casa da un soggetto di sua fiducia: qui la richiesta di passaggio della titolarità del negozio e della licenza si trasformò in violenza materiale: il giovane fu colpito con due pugni al volto, causandogli lesioni giudicate guaribili in 10 giorni.

Sempre il 26 maggio, aveva anche bloccato il furgone delle consegne del negozio di fiori, obbligando l'autista a consegnargli le chiavi che non avrebbe restituito se non fossero state consegnate autorizzazioni e licenze del chiosco. Le intimidazioni si erano fatte, poche settimane prima, sempre più concrete: tornando a casa la sera del 28 aprile, la fioraia trovò la porta spalancata. Non mancava nulla, ma qualcuno aveva frugato tra le sue carte alla ricerca delle licenze commerciali. La mattina dopo, tornando al negozio, scoprì che le avevano rubato tre fioriere.

La donna però non cedette. Così le pressioni e le violenze continuarono anche a giugno e luglio. Il 4 giugno con la complicità del postino si appropriarono di una raccomandata spedita dal fidanzato alla fioraia, missiva di cui si sbarazzarono dopo averla letta. Per mascherare l'appropriazione della raccomandata, fu anche apposta una firma falsa della destinataria sul tagliando di ricevuta. Tutto fu monitorato e annotato dagli investigatori che ormai erano da giorni addosso al gruppo criminoso con pedinamenti ed intercettazioni.

Nella frenesia di ottenere i titoli di proprietà del chiosco e le licenze (che, tuttavia, non sarebbero mai state riconosciute all'eventuale nuovo detentore senza richiesta al Comune e successiva approvazione), il pregiudicato abbandona ogni prudenza. Il pressing da parte sua, del fratello, della convivente sulla vittima diventò sempre più serrato. Qui si è manifestato anche pienamente il ruolo dell'ex marito della vittima, che ne diventa uno dei più assillanti incubi, insistendo in vai modi affinché la fioraia cedesse la titolarità del negozio all'esponente Scu.

L'ex marito la rimproverò perché si era rivolta ai carabinieri, che avevano convocato alcuni dei personaggi coinvolti in caserma, facendole presente che se così stavano le cose il pregiudicato l'avrebbe fatta a pezzi. Analoghe minacce ed insulti anche al nuovo compagno della donna. L'ex marito della vittima l'1 luglio giunse anche a telefonarle per informarla che aveva apposto la firma della fioraia su un atto di cessione dell'attività commerciale, sfidandola a dimostrare che quella sigla non era la sua.

Tutte queste circostanze, per il gip Annalisa De Benedictis, che ha ricevuto l'indagine dalla Dda, giustificano l'arresto di tutti i componenti il gruppo criminale per i reati in concorso di tentata estorsione e rapina pluriaggravate, lesioni personali aggravate, sottrazione e soppressione di corrispondenza e falso ideologico, commessi con il vincolo associativo di stampo mafioso.


17/11/2014

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