La Questura di Bari collabora all'indagine della Questura di Milano dove sono stati sequestrati 16 milioni di euro nascosti in un locale del narcos
Più di 15 milioni di euro, suddivisi in banconote di piccolo taglio, e un fabbricato commerciale sito in provincia di Bari: è questo il patrimonio sequestrato da personale della Divisione Anticrimine della Questura di Milano, con la collaborazione di personale della della Divisione Anticrimine della Questura di Bari, a carico di Francesco Massimiliano CAUCHI (classe 73), noto esponente del narcotraffico milanese.
Il sequestro antimafia - adottato dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano, su proposta congiunta del Questore di Milano e del Procuratore Distrettuale Antimafia - ha tratto spunto dall’operazione “Flashback” della Squadra Mobile, che ha riguardato un’associazione dedita al traffico di grandi quantitativi di hashish dal Marocco, riversati sul mercato della droga dell’hinterland milanese.
Nell’ambito dell’operazione, a carico di CAUCHI sono stati rinvenuti quasi 16 milioni di euro in contanti, occultati in un’intercapedine muraria presso l’abitazione di suo padre.
A seguito del sequestro, sono state avviate le indagini patrimoniali da parte degli specialisti della Divisione Anticrimine della Questura, che hanno riscontrato un’incolmabile sproporzione tra i redditi dichiarati da CAUCHI e il suo tenore di vita, accertando che quei soldi costituiscono gli enormi profitti illeciti accumulati dal narcotrafficante.
Le indagini patrimoniali hanno permesso inoltre di ricondurre nella sfera di disponibilità del soggetto, non solo il denaro contante trovato presso la casa del padre, ma anche un capannone industriale sito in provincia di Bari, il cui valore catastale - di circa 300.000 euro - è di per sé da solo superiore all’insieme dei redditi dichiarati nel corso della vita dal trafficante; tali redditi, in realtà, non gli sarebbero neppure bastati a sostenere le spese di vita quotidiana.
A seguito del sequestro, CAUCHI è ora chiamato a dimostrare la provenienza lecita dei beni e, se non riuscirà a dimostrarla, il provvedimento diventerà confisca, ed in tal modo lo Stato acquisirà la titolarità dei beni sequestrati, “ripulendo” il mercato dai capitali sospetti, reimpiegandoli in finalità sociali, nell’interesse della collettività.