La Polizia di Stato, ieri 15 settembre, ha eseguito un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, guidata dal Procuratore Capo Francesco Lo Voi, a carico di CONDE’ Mohamed, alias “Suarez” (Guinea cl. 1997), AHMED Hameda (Egitto cl. 1993), ASHUIA Mahmoud (Egitto cl. 1995), tutti sbarcati a Lampedusa lo scorso 29 giugno.
La Squadra Mobile di Agrigento, diretta da Giovanni Minardi ha eseguito il provvedimento nel quale, a vario titolo, si contestano ai tre extracomunitari, gravissimi crimini quali associazione per delinquere dedita alla gestione di un illegale centro di prigionia, collocato in una ex base militare della città libica di Zawyia, ove centinaia di migranti, che tentavano di imbarcarsi per raggiungere le coste italiane, venivano privati della libertà personale e sottoposti a sistematiche vessazioni e atrocità - attraverso reiterate e costanti violenze fisiche (consistenti in sistematiche percosse con bastoni, calci di fucili, tubi di gomma, frustate e somministrazione di scariche elettriche), ripetute minacce gravi (poste in essere con l’uso delle armi o picchiando brutalmente altri migranti quale gesto dimostrativo), accompagnate dalla mancata fornitura di beni di prima necessità, quali l’acqua potabile, e di cure mediche per le malattie lì contratte o le gravi lesioni riportate in stato di prigionia - al fine di ottenere dai loro congiunti il versamento, in favore degli stessi associati, di somme denaro quale prezzo della liberazione e/o della loro partenza verso lo Stato italiano, ovvero, in assenza del pagamento, venivano alienati ad altri trafficanti di uomini per il loro sfruttamento sessuale e/o lavorativo o talora uccisi; associazione finalizzata alla commissione di una pluralità di gravi delitti, quali tratta di persone (art. 601 del c.p.), violenza sessuale (artt. 609-bis del c.p.), tortura (art. 613-bis del c.p.), omicidio (art. 575 del c.p.), sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 del c.p.), favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Le complesse indagini della Squadra Mobile hanno preso avvio con la Procura della Repubblica di Agrigento, coordinate dal Procuratore Capo Luigi Patronaggio. Con la concretizzazione, a carico degli odierni fermati, di numerosi ed inequivocabili indizi di reati di competenza distrettuale, è intervenuto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo che, dopo aver disposto ulteriori approfondimenti, ha ritenuto di procedere al fermo di indiziato di delitto.
I fermati, che dopo lo sbarco a Lampedusa erano stati trasferiti presso un centro di accoglienza di Messina, sono stati individuati e monitorati fino alla serata di ieri quando il personale della Squadra Mobile di Agrigento, preziosamente collaborato dalla Squadra Mobile di Messina, diretta da Antonio Sfameni, ha proceduto alla loro cattura ed al successivo trasferimento presso la locale Casa Circondariale.
Il personale della Squadra Mobile di Agrigento, coordinata dalle Procure di Palermo ed Agrigento, ha sviluppato una certosina attività investigativa tra Lampedusa, Agrigento, Castelvetrano, Marsala ed altri Comuni della Calabria, riuscendo a raccogliere tra i migranti, diverse testimonianze ritenute attendibili, concordanti e puntuali, che hanno permesso l’emissione dell’odierno provvedimento restrittivo.
Tra le dichiarazioni raccolte, si evidenziano alcuni passaggi che testimoniano la gravità degli accadimenti per i quali si procede:
“Tutte le donne che erano con noi, una volta alloggiati all’interno di quel capannone sono state sistematicamente e ripetutamente violentate dai 2 libici e 3 nigeriani che gestivano la struttura. Preciso che da quella struttura non si poteva uscire. Eravamo chiusi a chiave. I due libici e un nigeriano erano armati di fucili mitragliatori, mentre gli altri due nigeriani avevano due bastoni.
Le condizioni di vita, all’interno di quella struttura, erano inaudite. Ci davano da bere acqua del mare e, ogni tanto, pane duro. Noi uomini, durante la nostra permanenza all’interno di quella struttura venivamo picchiati al fine di sensibilizzare i nostri parenti a pagare loro delle somme di denaro in cambio della nostra liberazione. Di fatto avveniva che, i predetti organizzatori ci mettevano a disposizione un telefono col quale dovevamo contattare i nostri familiari per dettare loro le modalità con il quale dovevano pagare le somme di denaro pretese dai nostri sequestratori. Ho avuto modo di apprendere che la somma richiesta dagli organizzatori in cambio della liberazioni di ogni di noi, si aggirava a circa 10000 dinari libici. Io, malgrado incitato a contattare i miei familiari, mi sono sempre rifiutato, Proprio per questo motivo sono stato oggetto di bastonate da parte loro. Preciso che, in occasione di un mio rifiuto, un nigeriano, con il calcio della pistola, dopo che mi ha immobilizzato il pollice della mia mano destra su un tavolo, mi ha colpito violentemente al dito, fratturandolo. Durante la mia permanenza all’interno di quella struttura ho avuto modo di vedere che gli organizzatori hanno ucciso a colpi di pistola due migranti che avevano tentato di scappare.”
“Durante la mia permanenza all’interno di quella struttura, a causa delle mie rimostranze contro la mia ingiusta detenzione, sono stato più volte picchiato. Ho subito delle vere e proprie torture che mi hanno lasciato delle cicatrici sul mio corpo. Specifico che sono stato frustato tramite fili elettrici. Altre volte preso a bastonate, anche in testa.”
“l’uomo - omissis - era spregiudicato, in quanto picchiava tutti i prigionieri e li torturava, frustandoli con i cavi elettrici; li bastonava servendosi di tubi in gomma.”
“Eravamo tutti sottoposti a continue violenze e torture da parte dei nostri carcerieri, poiché pretendevano il pagamento di una somma di denaro, da parte dei parenti, in cambio della nostra liberazione. Chi non pagava veniva torturato con la corrente elettrica. Ti davano delle scosse che ti facevano cadere a terra privo di sensi. Ho assistito personalmente a tanti omicidi avvenuti con la scossa elettrica. Succede che ti forniscono un cellulare con il quale contattare i parenti per esortarli a pagare il riscatto. Laddove non si ricevevano le somme richieste il migrante veniva poi ucciso.”
“Io sono stato picchiato più volte, anche senza alcun motivo apparente. Noi migranti venivamo picchiati tramite un tubo di gomma che ci procurava tanto dolore e, alcune volte, anche delle ferite. Personalmente, all’interno di quel carcere, ho avuto modo di vedere che un migrante è deceduto a causa della fame. Era malnutrito e nessuno prestava a lui la necessaria assistenza. Ho visto, anche, tanti altri migranti ammalati che non venivano sottoposti alle cure necessarie. Ho visto che un carceriere, tale omissis, una volta, ha sparato e colpito alle gambe un nigeriano, colpevole di aver preso un pezzo di pane. Ho avuto modo di vedere che, tante volte, nel corso della giornata, le donne venivano prelevate dai carcerieri per essere violentate. Da questa prigione si usciva solamente se si pagava il riscatto. Chi non pagava, al fine di sollecitare il pagamento, veniva ripetutamente picchiato e torturato.”