Questura di Latina

"Alba Pontina": operazione delle Squadre Mobili di Latina e Roma e dello S.C.O. della Polizia di Stato

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Esecuzione di una misura cautelare per associazione di tipo mafioso nei confronti di 25 persone ritenute affiliate ad un clan criminale rom

Gli investigatori delle Squadre Mobili di Latina e Roma e del Servizio Centrale Operativo hanno dato esecuzione ad una misura cautelare, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari di Roma su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia capitolina, nei confronti di 25 persone, ritenute responsabili a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, violenza privata, favoreggiamento, intestazione fittizia di beni, riciclaggio e reati elettorali, tutti aggravati dalle modalità mafiose.

Sono state eseguite anche numerosissime perquisizioni con l’impiego di unità cinofile e sofisticate strumentazioni per l’individuazione di anfratti per l’occultamento di armi e stupefacenti.

Oltre 250 gli uomini della Polizia di Stato impegnati.

Per la prima volta in territorio pontino viene riconosciuta l’esistenza di un’associazione mafiosa autoctona, non legata a gruppi criminali siciliani, calabresi o campani. L’inchiesta, che si è avvalsa anche delle dichiarazioni del primo collaboratore di Giustizia di quel territorio, ha ricostruito l’organigramma e le numerosissime attività illecite di un agguerrito gruppo criminale, individuato in un ramo della nota famiglia Rom dei DI SILVIO, operante da diversi anni in questo territorio, facente capo a Di Silvio Armando detto Lallà.

Tra i soggetti destinatari della misura cautelare vi sono ben 7 donne, una delle quali figura tra i vertici del clan.                        

Il gruppo ha evidenziato una struttura solidissima a geometria variabile, imperniata cioè non soltanto sui legami familiari, bensì alimentata con l’innesto di criminali già affermati, in precedenza organici a gruppi rivali.

Gli appartenenti all’associazione criminale sono risultati impegnati in modo pervicace nella gestione di numerosissime estorsioni e di un vasto traffico di stupefacenti; in particolare, le richieste di denaro, molto spesso mascherate con operazioni di recupero crediti, venivano rivolte con modalità particolarmente violente e vessatorie ad imprenditori e commercianti ma anche a numerosi professionisti, costretti a versare cospicue somme di denaro in modo seriale.

La sistematicità delle richieste estorsive rivolte a diversi esponenti del Foro Pontino divenne talmente preoccupante alla fine del 2016 da indurre i responsabili dell’Ordine degli Avvocati a pubblicare una lettera a tutti gli iscritti, esortandoli a denunciare tali circostanze, collaborando con le Forze di Polizia.

Come accade tipicamente nelle organizzazioni mafiose, negli episodi estorsivi veniva speso il nome dei Di Silvio per amplificare il potere di intimidazione, ovvero il riferimento alla destinazione del denaro richiesto al sostentamento dei carcerati e delle loro famiglie, o ancora richiamando episodi cruenti risalenti alla guerra criminale del 2010, quando le famiglie Rom si imposero sui altri gruppi criminali.

Particolarmente significativa del pesante clima di intimidazione imposto dai Di Silvio alla città, l’episodio estorsivo commesso dalle donne del clan, De Rosa Sabina e Di Silvio Sara Genoveffa, moglie e figlia di Armando Di Silvio, ai danni della titolare di un negozio di casalinghi, peraltro in stato di gravidanza, da cui pretendevano di appropriarsi della merce a proprio piacimento, corrispondendo un prezzo del tutto arbitrario, e di gran lunga inferiore a quello effettivo.

Il modus operandi del clan Di Silvio ha mostrato forti analogie con le mafie tradizionali anche in relazione alla capacità di gestione delle campagne elettorali di diversi candidati alle consultazioni amministrative del 2016 nei comuni di Latina e Terracina, per il tramite di alcuni affiliati ovvero intervenendo anche direttamente.

Alcuni uomini del clan, infatti, tra cui un sorvegliato speciale, in violazione dell’art.76 del Codice Antimafia, hanno gestito la propaganda elettorale in favore di alcuni candidati, provvedendo, dietro compenso, all’affissione dei manifesti elettorali, e potendo in tal modo imporre la prevalenza di quelli dei candidati sponsorizzati, grazie alla propria caratura criminale.

Le indagini hanno fatto emergere anche molti casi di compravendita di voti in occasione dello stesso periodo elettorale, in cui esponenti del clan hanno costretto, dietro minaccia, numerosi tossicodipendenti ad esprimere la propria preferenza in favore di alcuni candidati alle elezioni comunali di Latina, ricevendo in cambio un compenso in denaro da parte dei committenti ovvero di loro intermediari.

È emerso, dunque, uno spaccato preoccupante di spartizione criminale delle attività elettorali, attraverso la quale i Di Silvio riuscivano a monopolizzare la propaganda di molti candidati, spesso imponendo i propri servizi altre volte vendendo i consensi degli elettori residenti nelle zone della città ricadenti sotto il loro controllo.

Secondo quanto dichiarato dal collaboratore, i manifesti elettorali venivano tenuti nascosti in una stalla non lontana dall’abitazione del capoclan, nel quartiere Campo Boario, mentre in un’intercettazione, Gianluca Di Silvio, figlio di Armando, affermava di essere stato pagato per acclamare un candidato nel corso di un comizio elettorale insieme ad altri soggetti.

È stato, infine, accertato come Di Silvio Armando ponesse in essere condotte di fittizia intestazione di beni, come nel caso di un terreno ubicato in località Borgo Isonzo, acquistato alla fine del 2016 ed intestato fittiziamente dapprima ad Arcieri Federico ed al momento della stipula definitiva all’indagato Coppi Daniele, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale.  


12/06/2018

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