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Prostituzione e dell’immigrazione clandestina. Sgominata banda

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Eseguite 17 misure cauteari

"Cercasi baby sitter". Dietro all'annuncio pubblicato sui quotidiani locali e su giornali in lingua cinese, non genitori con bambini, ma un'organizzazione criminale di diciassette persone, quattordici cinesi e tre italiani, che reclutavano prostitute, quasi tutte clandestine. Era uno di loro che rispondeva al telefono quando una giovane donna, interessata all'offerta di lavoro, chiamava per avere informazioni. Questo il primo contatto, poi l'incontro di persona. A questo punto la giovane veniva condotta in un appartamento e in alcuni casi segregata e picchiata, per indurla a prostituirsi, "girando" i guadagni a chi l'aveva reclutata. A scoprire il giro d'affari messo in piedi dalla banda nelle città di Firenze, Pordenone, Rapallo e Varese, portando alla luce le storie di paura e sopraffazione delle loro giovani vittime, sono stati gli uomini della Sezione Buoncostume della Squadra Mobile diretti dal Primo Dirigente Filippo Ferri. Nei confronti dei diciassette indagati, otto donne e nove uomini, è stata emessa un'ordinanza di custodia cautelare firmata dal Giudice per le Indagini Preliminari Anna Sacco su richiesta del Pubblico Ministero Andrea Cusano. L'accusa che li ha portati a Sollicciano è di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. A dare il via alle indagini una delle tante aspiranti baby sitter, cinese, che rispondendo all'annuncio si è trovata, invece, " nelle loro mani". Due anni fa la decisione di ribellarsi denunciando i suoi sfruttatori agli investigatori fiorentini coordinati dal Sostituto Commissario Erminia Del Prete. Accertamenti, riscontri, raccolta ed incrocio di dati. Una lunga e paziente attività che ha portato i poliziotti a ricostruire, tassello dopo tassello, la lucrosa attività della banda, fatta di violenza e sopraffazione, delineando ruolo e responsabilità di ciascuno dei suoi componenti, tutti "battezzati" con un proprio soprannome. C'era "Piccola Zia", cinese quarantaseienne, a sovrintendere all'andamento dell'intera "attività imprenditoriale", coordinando decisioni e strategie. "Lisa", invece, stabiliva turni e tariffe di lavoro facendo fronte alle esigenze quotidiane delle ragazze. "Xiao" si occupava degli annunci su quotidiani locali per promuovere fantomatici centri benessere e massaggi dietro ai quali c'erano le loro case di appuntamenti. "Fratello Li" riscuoteva i proventi e li spediva in Cina. Chi curava la stipula dei contratti di affitto e di fornitura di gas ed acqua erano invece tre italiani, un trentottenne originario di Siena, un settantanovenne di Milano ed un cinquantenne di Pordenone. Anche per loro c'era un soprannome in lingua cinese, a dimostrate quanto stretto e compiuto fosse il legame criminale con gli altri complici. Il cifrario utilizzato tra gli associati è uno degli elementi che ha contribuito sul piano probatorio ad avvalorare l'ipotesi dell'associazione a delinquere.
01/05/2010

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